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Sospensione o rinegoziazione dei pagamenti nel Cura Italia

Il Decreto Cura Italia introduce una serie di novità di particolare rilievo. Tra queste, sotto un profilo più squisitamente civilistico, emerge senz’altro il dettato dell’art. 91 che stabilisce come “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempiment”.
La norma in esame si espone a facili e frettolose interpretazioni, sembrando legittimare il debitore a non adempiere le obbligazioni assunte e a trovare una scusante nelle circostanze di salute pubblica oggi presenti.
In realtà, la disposizione non giustifica il mancato adempimento sic et simpliciter ma consente al debitore di godere di un elemento in più nella valutazione da parte del giudice della legittimità della condotta tenuta.
Difatti, la norma rimette al giudicante l’accertamento dell’esigibilità della prestazione dovuta e dell’effettiva alterazione – da parte delle odierne circostanze di salute pubblica – delle condizioni pattuite.
Non solo. Il giudice, per mezzo di tale norma, è chiamato a verificare se le misure di contenimento abbiano effettivamente reso l’impossibile la prestazione, imponendo, ad esempio, la chiusura dei locali commerciali.
E’ evidente, quindi, che nell’ambito di un rapporto di durata (come, ad esempio, quello locatizio ad uso diverso), il debitore non potrà arbitrariamente sospendere il pagamento del dovuto solo per effetto della difficile situazione di salute pubblica che, verosimilmente, provochi una contrazione dei ricavi. Di contro, il debitore potrà sospendere il pagamento, allorquando abbia dovuto interrompere l’attività commerciale, in quanto rientrante tra quelle non ammesse all’esercizio perchè non ritenuta essenziale.
Come sempre accade, tra i due estremi, si inserisce un’ampia zona grigia.
E’ il caso, ad esempio, delle attività di ristorazione a cui sia consentito svolgere la consegna a domicilio con locale chiuso al pubblico oppure delle attività, anche di abbigliamento, che si inseriscono tanto nella vendita offline quanto on-line e che – pur non potendo svolgere attività nei propri locali commerciali – possono continuare a svolgere e-commerce, avvalendosi, magari, dei magazzini in cui è conservata la merce da consegnare.
In questi casi – e in molti altri – caratterizzati da un minino comune denominatore quale la riduzione dell’attività ad alcuni segmenti di vendita nel rispetto delle misure di contenimento stabilite, soccorre il tanto dibattuto obbligo legale di rinegoziazione che trova origine nel più ampio e generale principio di buona fede nell’esecuzione di qualsiasi rapporto negoziale.
Nello specifico, è bene ricordare che la clausola generale di buona fede si spinge fino al punto da determinare un costante adeguamento del contratto stesso, obbligando le parti a rinegoziare il tutto in presenza di fattori sopravvenuti “perturbanti”, ogniqualvolta le condizioni pattuite non rispondano più “alla logica economica sottesa alla conclusione del contratto”.
In questo senso, la giurisprudenza di merito ha ritenuto, ad esempio, che “in base alla clausola generale di buona fede sussiste l’obbligo di rinegoziare il contenuto del contratto in presenza di un mutamento rilevante della situazione di fatto o di diritto rispetto a quella contemplata dal regolamento originario”.
Tale teoria ben si sposa poi con il principio di solidarietà sociale contenuto nell’art. 2 Cost., che costituisce una clausola generale volta a fissare di volta in volta le regole di condotta a cui le parti devono attenersi.
Ne discende che il debitore, il quale sia costretto – per via delle misure di contenimento – a ridurre l’attività così registrando una contrazione dei ricavi, può invitare il creditore a rinegoziare il corrispettivo per tutto il periodo di emergenza, stabilendo altresì criteri di rideterminazione del contenuto contrattuale anche per il periodo successivo al superamento delle difficili condizioni di salute pubblica e, quindi, delle relative misure di contenimento. Il creditore – che non accolga l’invito alla rinegoziazione – sarà esposto, in definitiva, ad un obbligo risarcitorio per violazione del richiamato principio di buona fede.