In forza dell’art. 83 commi 1 – 3 d.l. 17 marzo 2020 n. 18 (come successivamente modificato dall’art. 36 comma 1 d.l. 8 aprile 2020 n. 23), il legislatore ha stabilito il rinvio di tutte le udienze civili e penali a data successiva all’11 maggio 2020 fatta eccezione, inter alia, per tutti quei procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti.
Dalla piana lettura della norma discende che ogni udienza sia rinviata a data successiva al giorno 11 maggio 2020, salvo che il presidente del tribunale non ravvisi un “grave pregiudizio alle parti”. Ed è proprio tale espressione a necessitare di un’interpretazione che, in tempi ordinari, sarebbe rimessa al giudice competente.
Ma in difetto di una tutela giurisdizionale che con il provvedimento in parola viene sospesa, occorre procedere diversamente.
Normalmente, il grave pregiudizio è rintracciato nel carattere “irreparabile” del nocumento solitamente alla base della proposizione di una domanda d’urgenza ex art. 700 c.p.c. e che trova sua ulteriore esplicitazione nel periculum in mora tanto contestato in relazione alla lesione di un diritto patrimoniale.
E’ da ritenersi che, in un linguaggio emergenziale, il “grave pregiudizio” richieda un quid pluris al punto da domandarsi se possa arrivare ad includere non solo la lesione dei diritti alla persona, per la quale l’urgenza è stabilita ex lege, ma anche dei diritti patrimoniali. Ciò a maggior ragione in un periodo in cui la lesione irrimediabile a questi ultimi può arrivare ad inficiare i diritti della persona per difetto di soluzioni alternative agli effetti dirompenti delle misure di contenimento del virus.
Ma quali sono quindi i diritti della persona la cui lesione merita di essere trattata senza indugi, pur in un contesto sanitario così difficile? il diritto di proprietà è un diritto fondamentale della persona? il diritto di credito può esserlo in certe circostanze? gli alimenti e le obbligazioni alimentari comprendono anche gli assegni di mantenimento per coniugi e figli nelle separazioni e nei divorzi?
Tutto questo, ovviamente, meriterebbe un’interpretazione autentica oppure un intervento giudiziale per ora precluso.
Un ulteriore tema, in questo caso di diritto sostanziale, si pone alla nostra attenzione.
L’art. 2, comma 3, d.l. 8 marzo 2020, n. 11 (in uno al successivo art. 83 comma 8 d.l. 17 marzo 2020 n. 18), statuisce che “è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse (…)”.
Al riguardo, il Consiglio Nazionale Forense nella scheda di analisi del 18 marzo 2020 ha ricordato che «È (…) prevista una clausola generale volta ad evitare che, per l’effetto dei provvedimenti organizzativi richiamati, possano prodursi preclusioni, decadenze e prescrizioni: nel periodo di efficacia di tali provvedimenti, ove gli stessi precludano la presentazione della domanda giudiziale, è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse».
E’ evidente che riconoscere la sospensione dei termini solo per quegli atti che possono compiersi con domanda giudiziale risolve solo in parte il problema: difatti, laddove il diritto possa essere esercitato anche per mezzo di un atto stragiudiziale, il termine risulterebbe non sospeso, imponendo quindi di attivarsi per non incorrere in preclusioni, prescrizioni o decadenze. E’ evidente che la norma, ove letta restrittivamente, crei una forte disparità e nasconda insidie ad una lettura veloce.
In ogni caso, è chiaro che, se l’esercizio di un diritto è impossibile, il termine di prescrizione o decadenza è sospeso o non decorre.
Nello specifico, è chiaro che qualsiasi prestazione contrattuale è temporaneamente impossibile quando corrisponde ad un’attività sospesa per factum principis. Come noto, in una fattispecie di questo tipo, non c’è responsabilità del debitore e può aprirsi la strada della rinegoziazione in ossequio al più generale obbligo di buona fede.
E’ vero però che all’indomani dell’avvio delle misure di contenimento, tutti hanno ritenuto di poter formulare una domanda di rinegoziazione delle condizioni contrattuali, non distinguendo tra impossibilità dal lato del debitore della prestazione caratteristica e impossibilità dal lato del debitore della prestazione pecuniaria, impossibilità che non può neanche definirsi tale, se non in termini di eccessiva onerosità della prestazione per il singolo debitore. E’ evidente, quindi, che in un contesto di questo tipo, la rinegoziazione si concretizzerà in un gioco di forza tra le parti risolvibile, in ultima istanza, dal giudice, le cui stanze però restano chiuse.